I muretti a secco sono il frutto di una tecnica di costruzione antichissima, che si lega probabilmente alla nascita dell'agricoltura: il passaggio cioè dalla raccolta dei frutti della terra, che comportava il nomadismo, alla coltivazione in un luogo stabile per produrre ciò che prima era spontaneo.
Con la nascita dell'agricoltura si rende necessaria, prima di tutto, la costruzione di abitazioni: non è più conveniente cercare di volta in volta un luogo, una caverna, per sostare qualche giorno, ma servono strutture che permettano di dimorare al loro interno.
Si poneva dunque il problema della costruzione di ambienti riservati all'uomo, e altri riservati agli animali.
Un altro riflesso di questa nuova concezione della vita si traduce nel bisogno di difesa, di protezione di un territorio che diventava proprietà di chi si era dedicato a lavorare la terra in modo che potesse produrre. Le piante da frutto permettevano a una comunità di vivere: era importante delimitare un territorio, come segnale che non era possibile ad altri occuparlo. Si tratta di una difesa della possibilità di sopravvivenza.
Questa premessa è la cornice entro cui inserire la storia del muretto a secco che, di fronte a una vera e propria rivoluzione del quadro esistenziale, potrà sembrare privo di grande interesse. Ma lo stimolo è stato dato ufficialmente dall'Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per favorire l’educazione e salvaguardare i beni artistici prodotti dall'uomo che, nella seduta del 26 novembre (proseguita fino al 1° dicembre) del 2018, ha riconosciuto come patrimonio dell'umanità “l’arte dei muretti a secco”.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pag 5 - 6 - 7
Isola di san Pietro - Carloforte
Lungo il percorso Canalfondo - Nassetta
Isola di san Pietro - Carloforte
Ripa del sardo
Nella nostra cornice li abbiamo indicati come un qualcosa che serve alla comunità agricola per la costruzione di ambienti abitativi fissi per l’uomo, ma anche per gli animali, oltre che a difendere il territorio.
Da una parte occorrono materiali nuovi per costruire delle abitazioni, dall'altra strumenti per delimitare un territorio, in questo caso agricolo.
Nel secondo sono proprio i sassi, e l’istinto è quello di metterne uno sopra l’altro e realizzare così strutture verticali entro cui vivere.
Dall’idea che si possa costruire mettendo un sasso sopra l’altro viene dunque il muretto.
Il muretto a secco è certamente legato alla modernità, ma allo stesso tempo si colloca ben prima di quel periodo in cui si sarebbero scoperti materiali capaci di legare un sasso insieme all’altro. Si tratta di tecniche di costruzione che non risalgono certo al periodo della nascita dell’agricoltura, ma è interessante notare che i muretti a secco sono stati usati per millenni anche in seguito e che è ancora possibile percepirne la tecnica come una vera e propria arte, pur conoscendo i cementi, che permettono di edificare in tutt'altra maniera.
In origine, però, si trovavano solo i sassi, e per combinarli insieme era necessario giustapporli, analizzando bene la forma di ognuno e confrontandola con quella di ogni altro sasso a disposizione, fino a intuire una combinazione che rendesse possibile metterli uno sopra l’altro stabilmente, per garantire la durata del muretto, senza che vi fosse pericolo di crollo.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pag 8
Isola di san Pietro - Carloforte
Rippa du panferu (Gioia - Calavinagra)
Con la scoperta dei cementi, e soprattutto dei “cementi armati”, per costruire un muro non c'è più bisogno dei sassi. È la ghiaia che, mescolata al cemento, costituisce il materiale da colare all’interno di un’armatura, che delimita qual è la forma che si vuole dare al muro; posizionando inoltre dei ferri all’interno si rafforza l'impasto, realizzando rapidamente una struttura che sostituisce il muretto a secco senza il minimo rischio di caduta.
Nel muretto ogni sasso mantiene una propria individualità, è legato ma allo stesso tempo ha una configurazione singolare, e nei casi in cui un muretto cada, torna sé stesso nell'ammasso degli altri sassi.
L'idea dell'Unesco è comunque di rispettare quelli che esistono, poiché sono una testimonianza significativa dell'umanità. Per riconoscerli, è necessario badare a che i sassi siano giustapposti senza che tra l’uno all’altro vi sia un materiale che li tenga uniti, con la sola eccezione della terra, capace di smussare le asperità delle forme e rendere più arduo che uno possa scivolare sull’altro. Si tratta di uno strato leggero di terriccio naturale.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pag 9
Isola di san Pietro - Carloforte
Percorso Canalfondo - Calalunga - Canale dei gatti
A me pare straordinario poter affermare che anche quei contadini che hanno eretto dei muretti a secco, che ancora presentano la stessa fisionomia con cui erano stati costruiti, possano oggi essere considerati artisti. Proprio grazie a quei muretti, che vengono riconosciuti come opere d’arte.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pag 15
Isola di san Pietro - Carloforte
Forno calcinazione località Becco
L'agricoltura, quella dei muretti, mostrava come l’uomo fosse capace di inserirsi nella natura rispettandone le stagioni, i ritmi, le leggi.
I muretti venivano costruiti durante l’inverno, quando la campagna dorme, anche se solo apparentemente, perché il tempo che passa serve al ciclo della vita. D’inverno il contadino ha già fatto il raccolto e aspetta di poter seminare, di disporre il terreno perché possa accogliere ancora un seme che darà frutto. L'inverno lo si dedicava quindi ai piccoli aggiustamenti necessari alla propria casa, alla stalla e al pezzo di terra di cui il contadino era il gestore. Allora si aggiustavano le stalle e si facevano i muretti a secco, perché forse il gregge sarebbe aumentato e bisognava allargare la casa destinata non solo all’uomo, ma agli animali. In questo atteggiamento si coglie il rispetto che l’agricoltore aveva per l’insieme di terra-animali-uomo da cui traeva la vita.
Il muretto a secco rientra nell’arte, nella bellezza, ed è dunque l’esito di quelle capacità che l’uomo ha di generare, di innovare, di creare.
Il muretto a secco, dunque, come arte contadina, arte povera. Povera ma bella, e la bellezza genera un piacere che serve persino alla salute, poiché gratifica e fa dimenticare le difficoltà e la fatica di vivere.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pagg 19 - 20
Isola di san Pietro - Carloforte
Argiolla in località Banchi
Un sasso esprime meglio le proprie caratteristiche a seconda della luce, e nel lavoro specifico la forma serve anche a inserirlo adeguatamente in un punto. Il tentativo è sempre quello di fare in modo che il nuovo sasso si combini con quelli precedenti, assumendo anche su di sé il compito di sostenere, a propria volta, quelli corrispondenti, nella fila che verrà posta di sopra.
Pur con queste attenzioni, la scelta finisce tuttavia per essere guidata dal gusto. Viene così composta una linea di sassi armoniosa.
Ne è un esempio l’ultima fila, in alcuni casi i sassi terminano tutti a punta e talora disegnano una linea che vale come decorazione. Una finitura che è la parte più delicata, su cui si concentrano gli sguardi.
In molti casi, si sono costruiti muri a secco usando grandi pietre giustapposte, con finalità diverse come impedire smottamenti di ampie aree scoscese. Vengono usate pietre prelevate da cave oppure da falde geologiche, corrose da movimenti tellurici.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pag 23
Isola di san Pietro - Carloforte
Montagna di Ravenna
I muretti a cui abbiamo fatto riferimento sono in genere “a due facce”, mostrano i sassi da una parte e dall’altra: recto e verso. Si distinguono quindi dai muretti a una faccia: è, questa, una caratteristica che ha delle conseguenze rilevanti, poiché sono stati costruiti con finalità diverse. Quando possiamo vedere una sola faccia, significa che l’altra è addossata al terreno e allora per lo più si tratta di muri di contenimento, per impedire crolli. È, questa, una funzione fondamentale.
In collina e in montagna i muretti sono inoltre testimoni di una antica povertà, di tempi in cui bisognava creare un piano per la coltivazione dove non c’era. Nelle aree collinari del nostro Paese è facile scorgere un paesaggio a gradoni, in cui i muretti a secco sostengono la parte piana: ogni rettangolo di terra ha bisogno di un muro a secco. Occorreva dunque lavorare con molta fatica per rendere produttivo un fazzoletto di terra. È quello che capita quando si deve lottare per la sopravvivenza.
Sia in collina, sia in montagna le pietre sono molto abbondanti, o comunque è facile ottenerle picconando le pareti rocciose. La costruzione dei terrazzamenti viene suggerita prima di tutto dall'andamento del terreno, ma anche dalla disponibilità dei sassi.
Abbiamo ricondotto la nascita di questa tecnica costruttiva alla nascita dell’agricoltura: a sostenerlo sono proprio i terreni. Per renderli fertili occorre che non siano ricchi di sassi e di pietre; bisogna bonificarli, poiché la semina ha bisogno di uno strato di terra coltivabile. Era consuetudine che la messa a coltivazione delle terre prevedesse prima di tutto di togliere i sassi, che venivano ammucchiati.
Di lì la suggestione di usarli per delimitare le proprietà, o per tutte quelle finalità che abbiamo preso in considerazione e per le quali la costruzione di muretti a secco a due facce era l’ideale.
I sassi accumulati per ottenere dei terreni coltivabili avevano dimensioni molto diverse l'uno dall'altro, e ve ne erano anche di più minuti che si rivelavano utili alla tecnica costruttiva, collocati negli spazi tra sassi più grossi.
Uno degli interrogativi che sorgono spontanei è fino a quando questa tecnica sia stata usata, ‘Tenendo conto delle sue funzioni in aree poco produttive e lontane dai centri industriali, si giunge senz'altro fino agli anni Quaranta del Novecento. Occorre poi ricorlare che oggi stiamo riscoprendo l’utilità dei muretti a secco, attratti certamente anche dalla loro bellezza. Nascono addirittura delle scuole per la loro costruzione. Si ritrovano nei giardini e, sia pure di altezza moderata, suggeriscono una particolare cura e rinnovano un'arte che è propria dell’uomo. Certamente la costruzione di un muretto a secco non è demandabile alle macchine.
Abbiamo ricordato che talora i muretti a secco possono diventare i lati di una costruzione di modesta grandezza, come erano le abitazioni del passato, quando per garantire il caldo nei periodi invernali servivano ambienti piccoli, con finestre minuscole.
In questo ambito sono sorte costruzioni caratteristiche come i nuraghi in Sardegna e i trulli in Puglia.
Dovunque, nelle campagne, si trovano testimonianze di piccoli luoghi di riparo o di riposo dei contadini, costruiti con muretti a secco, con i tetti fatti da tronchi o da frasche.
In alcuni casi, su di essi veniva posta della terra capace di raccogliere la pioggia o la neve.
Nei Lessini, che partono dalle colline attorno a Verona e continuano fino alle Prealpi, esistono esempi di costruzioni di case con muri a secco e il tetto coperto con lastre di marmo grezzo e pietre. Una peculiarità dovuta alla cospicua presenza, in queste zone, di cave.
Questi riferimenti servono a mostrare come attorno ai muretti a secco vi sia una piccola storia che fa parte della grande Storia, qualcosa che pone in relazione uomo e ambiente.
I muretti sono legati alla storia di uomini che “tirano fuori” dalla terra la propria sopravvivenza.
Uomini e donne che, con le mani, prima raccolgono sassi, quindi li mettono uno sopra l’altro e talora, usando una mazza o un martello, ne smussano le forme quando necessario, fino a costruire un vero e proprio tessuto fatto di pietra.
E, questo, il racconto di un uomo curvo sulla terra, che costruisce con i sassi la propria esistenza, fatta di sudore e di bellezza.
Vittorino Andreoli, Muretti a secco, ed. Low, pagg 32 - 33
Isola di san Pietro - Carloforte
Pozzo Ventrischio